Descrizione del percorso (da Supereva) –
La discesa da Brunate a Torn
Un
itinerario, che si può seguire partendo ed arrivando sul lungolago di Como,
adatto anche ai meno preparati, collega Brunate con Montepiatto a mezza
costa.
Dopo una corsa un funicolare (biglietto di sola salita), che permette di
godere uno stupendo panorama, alla stazione di Brunate si scende la scala a
destra della vettura e usciti dalla barriera girevole, si va giù sino alla
strada asfaltata dove, girando a destra in direzione San Maurizio, dopo 50
metri, all'altezza della fontana pubblicitaria, si prende sinistra la via
Nidrino in leggera discesa.
Lasciata a destra la via Monte Rosa si prosegue sino al campo di calcio e
passatolo, a sinistra del cancello carraio n. 18, si imbocca un sentiero tra
boschi di castani.
Solo questa prima parte del tragitto è un po' disagevole nonostante il
sentiero sia oggeto di attenta manutenzione da parte di generosi volontari.
Dopo circa 20' si incrocia la mulattiera che sale dai monti di Capovico
(frazione di Blevio), proseguendo diritti lungo un sentiero in piano, si
passano alcuni ruscelli, in uno dei quali si incrocia una mulattiera (40').
Il primo insediamento umano del percorso è a monti di Sorto (55'), qui si
incrocia la mulattiera che sale da Blevio il cui proseguimento porta alla
prea de Nairola circa 100 metri più in alto,
mentre pochi metri sopra il nostro sentiero vi è una cappelletta dedicata
alla Madonna del Rosario colma di ex voto. Il luogo di culto, che gode di una
vista molto bella, si adatta perfettamente ad una piccola sosta di ristoro.
Si prosegue in piano lungo un prato. Passata una valletta, nella quale in
inverno spesso si formano stalattiti di ghiaccio, dopo un grosso masso
erratico che crea una piccola grotta, si giunge ad un altro agglomerato di
case.
Un'altra insenatura e tra gli edifici dei monti di Cazzanore troveremo l'unica
biforcazione del percorso che potrebbe indurre in errore (1h 15').
Si prende a destra in leggera salita a fianco di alcune case in disuso, si
entra presto in un'altra piccola valle dopo la quale si incontra una
costruzione il cui un muro a secco di sostegno di sostegno pare esagerato.
Pochi minuti e si intravvedono nella boscaglia le prime case di Montepiatto,
poi si raggiunge la mulattiera proveniente da Torno (1h 30'), a destra, dopo
pochi gradini in salita, si arriva in paese.
A Montepiatto vale la pena di visitare la chiesa per il notevole panorama e
la pietra pendula, un masso erratico in posizione Si può proseguire con la
carreggiabile per Piazzaga, il cui nuovo crotto è valido anche se minuto e da
li, con un sentiero disagevole, anche per Molina. Su una deviazione della
bella mulattiera Piazzaga-Torno si trovano tre massi avelli.
A Montepiatto ci si poteva fermare, per un meritato riposo, alla trattoria da
Rinaldo, purtroppo ora è chiusa. Si può tuttavia scendere a Torno per una
strada carraia o per una più breve mulattiera e questo è l'unico punto del
percorso che affrontato senza un minimo di preparazione vi lascerà per
ricordo qualche dolore alle gambe.
Raggiunte le prime case di Torno, nelle località Perlasca e Caraniso, si
trovano due massi-avello. Per vedere il primo occorre prendere il sentiero a
sinistra alla cappella mentre il secondo è un paio di metri a sinistra degli
ultimi gradini. Queste tumulazioni, scavate in grandi trovanti, sono d'epoca
imprecisata, forse preromana. Un occhio distratto le può scambiare per
abbeveratoi perchè le coperture sono andate perse e sono sempre piene
d'acqua.
Nel paese di Torno si sceglie, per il rientro, tra la corriera, che ferma
sulla provinciale, ed il battello, molto più pittoresco, da prendere al
pontile della bella piazza-porto.
Per gli orari del battello è opportuno informarsi alla partenza, leggendo
quelli esposti a Como su tutti i pontili della navigazione. Uno è proprio di
fronte alla stazione della funicolare.
Buon divertimento.
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Descrizione del percorso - L’Anello di Torno/Montepiatto
Arrivate
comodamente a Como con il treno delle Ferrovie Nord, che vi deposita a poche
decine di metri dal Lungolago, e se il battello in partenza per Torno vi
lascia qualche tempo di attesa approfittatene per fare una bella colazione
nel signorile bar-pasticceria che si affaccia sulla piazza principale di
fronte all'imbarcadero. Il battello vi porterà in pochi munuti nel grazioso
porticciolo di Torno, uno dei più caratteristici paesi che si affacciano su
questo tratto di lago (foto 1). Risalite tranquillamente le antiche viuzze
che si snodano nel centro storico e superate la Statale che divide in due
l'abitato. L'inizio del sentiero per Piazzaga non è molto chiaramente
indicato, ma non vi sarà difficile individuarlo se chiedete a qualche
abitante: lo conoscono tutti. L'ampia mulatiera procede in leggera salita
(foto 2), affiancata da campi terrazzati e vecchi cascinali e offrendo vasti
scorci panoramici sullo scenario del lago in direzione nord (foto 3). Dopo
aver superato un arco in pietra di probabile origine romana (foto 4) il
sentiero si addentra in una suggestiva piccola valle dalla vegetazione
lussureggiante. Si giunge un ponte in pietra che scavalca uno spumeggiante
torrente: le ripide pareti rocciose suggeriscono quel tipo di paesaggio che
piaceva ai grandi artisti romantici, come Kaspar Friedrich, che ne avrebbe
tratto dei disegni stupendi. Oltre il ponticello ci si trova di fronte a un
bivio: qui vale la pena di fare una deviazione e prendere a sinistra per
andare a vedere certi curiosi 'massi avelli' ricavati in grandi massi
erratici che si trovano numerosi in questa zona. In questi massi sono scavati
dei sepolcri, il più imponente dei quali misura oltre 180 per 80 cm. Tornando
poi indietro al bivio del ponte si riprende il sentiero che in circa mezz'ora
porterà all'alpe Piazzaga ( 550 m.). Qui c'è anche una rustica trattoria,
dove, se non è troppo affollata, potrete fare sosta per il pranzo. Da
Piazzaga la mulattiera prosegue per il Montepiatto (610 m.), un grazioso
pianoro il cui punto più suggestivo è senza dubbio lo spazio che circonda la
chiesa e da cui si gode una vista bellissima su tutto il lago. Per tornare a
Torno (scusate il garbuglio di parole), se non volete rifare lo stesso
sentiero dell'andata, prendete il sentiero che scende sul versante
occidentale del monte e in meno di un'ora sarete rientrati alla base. E' una
passeggiata veramente bella, panoramica, adatta a tutti, anche a famiglie con
bambini.
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La pietra Nairola
La
Pietra Nairola è un'enorme tavola piatta di granito ghiandone orizzontale,
molto sporgente dal pendio della montagna. Proveniente dalla Val Masino, è
posta a 750 m. di quota. Dalla frazione di Mezzovico, in Comune di Blevio, si
sale per una mulattiera alla cappella della Madonna. Il masso si trova un
centinaio di metri sopra la cappella, lungo il vecchio sentiero che dal
Pissarottino di Brunate va a Monte Piatto.
Il territorio lariano e, in particolare la zona del
Triangolo Lariano, sono caratterizzati dalla presenza dei cosidetti
"massi erratici" o "trovanti". Le grandi colate glaciali,
che a più riprese durante il Quaternario scesero dalle Alpi fino ai margini
dell'alta pianura, trasportavano enormi quantità di detriti rocciosi derivati
dall'attività di escavazione e di abrasione delle rocce su cui passavano.
Quando il clima ritornava ad essere più mite, il ghiaccio fondeva e questo
materiale - costituito da massi, ghiaie, sabbie ed argille - veniva
abbandonato a formare i depositi morenici. Gli erratici sono invece massi
isolati, di notevole dimensioni, anch'essi trasportati e depositati da
ghiacciai; in genere sono costituiti da graniti, gneiss o serpentini
provenienti dalla Valtellina o dalla Valchiavenna, quindi da rocce diverse da
quelle prealpine calcaree. Fu il naturalista Antonio Stoppani nel secolo
scorso a intuirne per primo l'origine, che espose in un suo scritto
"...sul dorso dei colli, sui fianchi dei monti, sui margini dei laghi...
dappertutto... vedrete o solitari, o in gruppi fantastici, o allineati in
modo mostruoso... pezzi enormi di graniti, di porfidi, di serpentini, di
rocce alpine di ogni genere evidentemente divelti dai monti lontani portati
giù, a centinai di miglia di distanza e posti a giacere così rudi e informi,
ove possono meglio stupirci...". Quello dei trovanti è un argomento
pieno di risvolti storici, culturali, economici; le loro dimensioni, la loro
"diversità" rispetto alle rocce su cui poggiano, hanno incuriosito
e attratto l'uomo fin dall'antichità. Molti trovanti sono stati oggetto di
incisioni preistoriche, soprattutto in forma di coppelle, ovvero piccole
concavità scavate nella roccia, di significato ancora incerto, forse rituale.
Particolarmente interessante sono i massi avelli, misteriose tombe probabilmente
preistoriche a forma di vasca scavate nei massi erratici che costituiscono
una singolarità della nostra zona. Molte epigrafi romane e paleocristiane
sono incise su are, cippi o stele ricavate dai trovanti: nei secoli tali
rocce vennero pure utilizzate come materiale da costruzione o per elementi
ornamentali di case e chiese, per manufatti vari come macine da cereali,
olive, sale. Ai trovanti sono pure legate storie e leggende di Santi,
diavoli, folletti, maghi e streghe. Alcuni tra i massi erratici più notevoli
sono stati dichiarati "Monumenti Naturali" della regione Lombardia,
con l'intento di tutelarne l'integrità. In particolare, la zona di
Montepiatto, sopra Torno, è ricca di trovanti di cui i più notevoli sono la
Pietra Pendula e la Pietra Nairola (Monumenti Naturali regionali).La prima,
in comune di Torno, è un blocco di granito ghiandone poggiato su uno stretto
pilone calcareo, forse assottigliato ad opera dell'uomo; la seconda invece,
in comune di Blevio, è una tavola sempre di ghiandone, che sporge dal pendio.
Altri trovanti sono invece trasformati in massi avelli (Avello del Maas,
Avello di Rasina, Avello delle Piazze, Avello Negrenza, Avello delle Cascine
di Negrenza).
Pietra Nariola (Blevio) - Monolito di
circa metri 7,4 x 4,5 che sembra sospeso su un sentiero dominante il primo
bacino del Lario. Attorno a questa pietra esistono due leggende diverse, o
più esattamente una tradizione di maggiore antichità che e stata modificata
in epoca cristiana. La prima narra che sulla Pietra Nariòla stava il diavolo:
di fronte, su un altro monolito (andato purtoppo distrutto), un suo compagno
ed insieme giocavano a palla rimandandosela l'un l'altro tanto che
un'impronta emisferica sarebbe rimasta sul trovante demolito. La leggenda
cristiana giustificherebbe la posizione del masso, sporgente una ventina di
metri, con un intervento della Vergine che l'avrebbe trattenuto con il suo
mantello.
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I MASSI ERRATICI O 'TROVANTI'
Così
li definisce Antonio Stoppani nella pubblicazione 'Valsassina e il territorio
di Lecco':
"Portatevi a Valmadrera
e già sul dorso dei colli, sui fianchi dei monti, sui margini dei laghi, sui
cigli dei precipizi pù paurosi, dappertutto, dico, vedrete o solitari, o in
gruppi fantastici, o allineati in modo mostruoso, flangi, pezzi enormi di graniti,
di porfidi, di serpentini, di rocce alpine di ogni genere, evidentemente
divelti dai monti lontani, portati più giù a centinaia di miglia di distanza
e posti a giacere così rudi e informi, ove possono meglio stupirci".
Per millenni i massi erratici hanno
alimentato la fantasia popolare perché la teoria delle glaciazioni è stata
messa a fuoco solo nel corso della seconda metà dell'800 e pertanto non si
poteva dare spiegazione ragionevole all'enigma costituito da questi massi di incredibili dimensioni e
peso la cui struttura rocciosa era di sicura provenienza alpina e non aveva
niente a che vedere con le rocce e il suolo circostante. Come mai ad esempio
un masso del tipico granito della Valmalenco si potesse trovare in una zona
del lago di Como a circa 200 km di distanza !! Un enigma, un mistero
fascinatorio che si legò all'idea della magia, dell'intervento divino o
diabolico, terrifico o propiziatorio, ma comunque soprannaturale.
Innumerevoli sono le leggende fiorite intorno ai 'trovanti' che vedono
protagonisti Dio, i santi, la Madonna o il perfido Lucifero; qualcuno in uno
sforzo più razionalistico arrivò a ipotizzare una pioggia di meteoriti da
spazi siderali, oppure un'esplosione delle Alpi che avrebbe 'sparato' come
palle da cannone questi massi in giro per le Prealpi. Nel corso dei secoli i
massi erratici furono dunque oggetto di culti di vario tipo; su alcuni si
trovano incisioni a forma di coppelle emisferiche, cerchi o spirali,
canaletti e simboli vulvari: segni comunque di dubbiosa interpretazione, che
suggeriscono una funzione come are sacrificali.
Oggi sappiamo che per capire la formazione dei massi erratici dobbiamo
riferirci alle alternanze delle glaciazioni avvenute nell'ultima era
geologica (detta anche era Quaternaria), durante il Pleistocene, che iniziò
circa 2 milioni di anni fa. In certi periodi la temperatura sulla Terra si abbassò
di qualche grado (ma su scala mondiale) determinando l'espansione dei
ghiacciai, che arrivarono a coprire fino a una superficie pari al 32% delle
terre emerse (comprendendo anche i Poli); con il rialzo successivo della
temperatura si aveva poi il conseguente ritiro dei ghiacciai (sulla causa di
queste variazioni di temperatura c'è tuttora incertezza !). Si ritiene che le
principali glaciazioni siano state 4 con tre fasi interglaciali, mentre la
quarta è il postglaciale nel quale viviamo (Olocene). Nell'epoca glaciale il
ghiacciaio dell'Adda che scendeva dallo Stevio invadeva la Valtellina e si
univa a quello dello Spluga e della Valchiavenna proseguendo poi verso sud
fino a intersecarsi con i ghiacci del Lago di Como, con uno spessore di oltre
1.500 m. e una lunghezza di 200 km circa. Ritirandosi lasciò depositati sul
fondo i materiali trascinati con sé nel suo lungo percorso (morene): dalle
sottili argille a massi di tutte le dimensioni, in particolare graniti,
serizzi ghiandoni e serpentini della Valmalenco e della Valmasino. E' proprio
nella zona del Triagolo lariano (ad una altitudine intorno ai 500-600m.) che
troviamo il maggior numero di massi erratici, perché qui spingeva l'azione
possente delle forze dei due ghiacciai in movimento. Di particolare interesse
da questo punto di vista è il sentiero che da Torno va a Piazzaga (vedi
itinerario) o quello da Brunate al Monte Piatto (Pietra Pendula) e il
sentiero geologico che da Canzo/Fonti di Gajum porta ai Corni di Canzo. Oggi
i massi erratici rimasti, considerati veri e propri monumenti dell'era
glaciale, sono 'protetti' da una legge regionale, ma per millenni sono stati
scalpellati, sfruttati, e riutilizzati come materiali da costruzione per
farne are sacrificali, stele, cippi stradali, marciapiedi, architravi,
stipiti di portoni, capitelli oppure strumenti di uso quotidiano come macine
per cereali o legumi (la struttura di questa pietra si presta particolarmente
bene a sbriciolare i vegetali). In epoca cristiana si smontarono blocchi di
sarizzo di are o sarcofagi pagani per reimpiegarli nelle costruzioni
cristiane. Certamente era molto più comodo lavorare queste rocce che si
trovavano già per così dire a portata di mano che andare a prenderli dalle
cave sulle Alpi e trasportarli via acqua (sul lago o lungo il fiume) fino a
destinazione.
I massi avelli: un enigma dentro il mistero
Sono monumenti funerari scavati a forma di 'vasca' nell'interno di massi
erratici di grandi dimensioni. Li troviamo soprattutto nell'area di Como,
Canton Ticino, Brianza, Valtellina, Grigioni e non vi è riscontro di questi
ritrovamenti in altre aree d'Italia e d'Europa. Si ha notizia di circa 34
massi avelli censiti.
Le loro caratteristiche per lo
più comuni sono:
* la forma regolare tipo di vasca da bagno (diremmo noi oggi)
* una sorta di cuscino o gradino su cui si posava la testa del defunto
* il bordo arrotondato per favorire l'appoggio del coperchio e evitare le
infiltrazioni di acqua piovana
* canaletti laterali per lo scorrimento delle acque piovane
*una posizione spesso dominante il territorio non dirado orientata verso il
sole a mezzogiorno.
La datazione di questi monumenti è nebulosa perché nel corso dei secoli
questi sepolcri furono spogliati di tutte le eventuali suppellettili
custodite e i pochi ritrovamenti archeologici dei dintorni non forniscono
alcun elemento interpretativo. Si ipotizza che fossero espressione dei culti
funerari di quelle popolazioni 'barbariche' (goti, franchi) che a cavallo del
crollo dell'impero romano (sec. V-sec. VI d.C) si stabilirono su quel
territorio. Si trattava certamente di tombe di personaggi di rango (capi
guerrieri, sacerdoti) ma che non ci hanno lasciato nessun documento scritto.
Molte informazioni sono tratte
dal libro: TROVANTI, edito da Nuoveparole (Como) a cura del Gruppo
Naturalistico della Brianza, cui vanno i nostri ringraziamenti.
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Il castello
abbandonato
Castel
d'Ardona, sopra Torno, fu edificato nel 1894 dal professor Angelo Ruspini,
detto "del fratino", nato in Francia a Toulouse da famiglia
tornasca. Non avendo Il Ruspini una famiglia, la sua governante gli successe
nella proprietà del "maniero" che poi passò al "Gruppo
Aziendale Tintoria Comense" che eresse il sottostante fabbricato per
ospitare nelle vacanze i figli dei dipendenti. Il castello, che un tempo era
ben visibile dal paese e dal lago, oggi è diroccato e invaso dalla
vegetazione. Stessa la sorte seguita dal fabbricato.
Al castello d'Ardona è possibile arrivare dal sentiero che sale da
Montepiatto o da quello vicino alla baita Carla sopra S. Maurizio (faro
Voltiano).
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TORNO
- Il paese:
È
situato in bella posizione sopra un promontorio di fronte a Moltrasio ai
piedi del monte Bisbino e del Colmegnone, si distingue per le tipiche caratteristiche
del borgo medievale: stretti e serpeggianti vicoli, case con portali in
pietra con decorazioni in ferro battuto alle finestre e ai poggioli.
La cittadina attraversò, dal secolo XIII al XVI, un periodo fiorente per le
sue fabbriche di panni ed arazzi che venivano esportati anche in Germania ma,
nel 1522, dopo numerosi scontri, anche navali, con la vicina Como venne
distrutta, e da allora non raggiunse più il suo antico splendore.
Delle numerose fortificazioni medievali, sono ancora visibili i resti del
Castello sulla riva del lago e la Porta Travaina sulla strada per Piazzaga.
Furono di Torno due pittori vissuti tra il 400 e il 500: Bartolomeo Benzi e
Andrea de Passeris, autore d’alcune opere custodite nel Duomo di Como.
Dall’abitato
si può salire, seguendo l’antica mulattiera che si snoda nel bosco, a
Montepiatto (610 m.), le sue case sono abitate solo nel periodo estivo o nei
giorni festivi; dal sagrato della piccola chiesa, un tempo affiancato da un
convento di monache, si gode una bella vista sul lago. In un prato del luogo,
nei pressi della chiesa dedicata a Sant’Elisabetta, è possibile ammirare la
“pietra pendula”, masso erratico a forma di fungo in bilico su di una roccia.
da
vedere:
Chiesa di Santa Tecla
Edificio
romanico duecentesco più volte rimaneggiato, si specchia nel lago con un’alta
torre campanaria a monofore e bifore ricostruita nel 1893 e vanta una
splendida facciata ornata da un portale marmoreo rinascimentale e da un
rosone gotico.
All’interno, nella prima cappella di sinistra, vi troviamo una Madonna ed un
affresco dipinto nel 1502 di Bartolomeo Benzi; sul soffitto, moderne pitture
del Beghè e dell’Andreani.
Chiesa di San Giovanni
È la più
antica chiesa del paese, situata a mezza costa a fianco del cimitero,
conserva un solido campanile romanico, sovralzato e restaurato nel 1962, in
bella muratura regolare con quattro spaccature divise da archetti, ha un
piano di monofore e due di bifore a doppio arco.
Presenta un’elegante portale marmoreo rinascimentale (fine del ‘400) opera
del Rodari, con statue e gruppi marmorei. Ad abbellire ulteriormente
l’interno ad una navata ampia e appiattita con copertura lignea in vista,
così sistemato nel 1496, sono le due acquasantiere, una romanica e l’altra
rinascimentale, gli antichi affreschi sui piloni e sul muro, i dipinti del
600 che ricoprono il frontone del presbiterio a trifora acuta e le tele sei-
settecentesche alle pareti della navata.
Dietro l’altare, lontano da occhi indiscreti, troviamo, oltre alla preziosa
croce d’argento, le reliquie di San Chiodo che, unitamente a quelle dei SS.
Innocenti, vengono esposte al pubblico tre volte all’anno.
L’intero edificio, ampliato verso la fine del XV secolo, fu poi modificato
nel ‘600 e nel ‘700.
Villa Pliniana
È una
delle ville più famose del lago, appartata e triste dall’aspetto misterioso
ed inquietante. Sembra che sull’edificio gravi un’aura sospesa
inaccessibilità, quasi che ancora vi aleggino i fantasmi che si dice
turbassero il suo primo proprietario, il conte Giovanni Anguissola di
Piacenza, rifugiatosi qui dopo aver preso parte alla congiura di palazzo in
cui venne trucidato Pier Luigi Farnese.
L’elegante dimora, eretta nel 1573, venne così chiamata perché, Plinio il
Vecchio ed il Giovane, descrissero la cascata intermittente che si trova
nelle sue vicinanze le cui acque precipitano in quelle del lago solo dopo
aver compiuto un salto di ben 80 metri.
Sorge in un’insenatura solitaria immersa nel verde, incerto è il nome del
costruttore; fra i proposti troviamo l’Alessi e il Pellegrini, recentemente
fu aggiunto il nome di Giovanni Antonio Piotti da Vacallo.
Fu venduta al conte Pirro Visconti Borromeo, ma i primi lavori di miglioria
vennero fatti dai Canarisi e, a metà dell’Ottocento, dal principe Emilio
Barbiano di Belgioioso.
Proprio in questa villa quest’ultimo visse isolato per otto anni un
travolgente amore per Anna Berthier, principessa di Wagram e moglie del duca
di Plaisance.
Dai Belgioioso la villa passò ai Trotti e, nel 1890 ai Valperga di Masino.
Attuale proprietà è la Società Pliniana.
Nel Settecento e nell’Ottocento fu dimora prediletta d’artisti e personaggi
di gran rilievo tra i quali Giuseppe II, Napoleone, Bellini, Rossini che vi
compose, in soli sei giorni, l’intero Tancredi, Byron, Foscolo che vi
verseggiò parte del suo Inno alle Grazie, ed infine, il Fogazzaro che trasse
ispirazione per Malombra.
L’imponente facciata con quattro ordini di finestre viene alleggerita
dall’elegante loggiato a tre arcate rette da colonne binate che si trovano al
primo piano, l’interno è arredato elegantemente con mobili, decorazioni,
opere d’arte e rari cimeli: vi spicca un ritratto di Cristina Belgioioso,
dipinto dall’Hayez del 1818.
Villa Taverna
(Perlasca)
La magnifica
villa, sita nel tratto di costa tra Blevio e Torno, è nota anche per le
bellezze del gran parco che si estende sulle rive del lago.
L’edificio è costituito da un corpo centrale dal quale escono due ali
simmetriche.
Antonio Tanzi, alla fine del Settecento, fece costruire le due ali, i
Taverna, fecero invece aggiungere il corpo centrale.
Nella Villa, che oggi è un lussuoso condominio, soggiornarono parecchie
personalità di spicco invitati dai due proprietari.
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La pietra
pendula
Nel
territorio del Triangolo Lariano sono evidenti gli effetti del passaggio del
ghiacciaio abduano, che in tempi lontani milioni di anni ricoprì questa area;
sono espressione dell’azione del ghiacciaio sia le cime arrotondate di molti
monti, sia i numerosi massi erratici, spesso di granito, o comunque di roccia
proveniente dalle montagne valtellinesi, che si trovano disseminati qua e là.
Un esempio di questi massi, che vengono chiamati anche ‘trovanti’, si può
osservare a Montepiatto, frazione di Torno: è la famosa Pietra Pendula. Anche
nelle frazioni montane di Blevio, presso i Monti di Sorto, Mezzovico,
Meggianico e Cazzanore, si possono vedere alcuni massi erratici di granito e
di ghiandone.
In molti di questi massi, in tempi antichissimi, sono state scavate delle sepolture:
sono questi i famosi ‘massi avelli’, che originariamente erano chiusi
superiormente da un coperchio a timpano pure in pietra. Se ne trovano alcuni
nei boschi sopra Torno e sopra Faggeto Lario.
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