2000 Ontario

Laggiù nell’Ontario

“Piega, porca miseria, piegaaaa!”    “Vaffan…come faccio se non ti sposti?”   “Sei tu che devi spostarti…porc…!”

Splash…, il volo nella neve è inevitabile e mi ritrovo a faccia in giù e con un ginocchio dolorante… e fortuna che non ero legato!

Forse qualche spiegazione è necessaria: siamo sui laghi gelati dell’Ontario e io e Claudio (entrambi sopra gli 1,80 e MOLTO inesperti) stiamo tentando di controllare una muta di cani assatanati che si è lanciata a folle velocità giù per una discesa piena di curve, e tutti sanno (..!?!..) che con le slitte in curva bisogna piegare come in moto. Ovviamente non riusciamo a coordinarci e il risultato  è quanto sopra descritto e la fortuna consiste nel fatto che generalmente il “pusher” si assicura con una fune alla slitta, in modo da non essere abbandonato dai cani, che non si fermano mai, in caso di caduta, ma così rischiando  di essere malamente trascinato.  Qui tutto finisce bene, Claudio ferma i cani, il ginocchio è a posto, risalgo e ripartiamo in un mondo in bianco e nero, sotto una fitta nevicata.

Come siamo finiti qui?

Beh, è semplice: in sei abbiamo risposto all’invito del Giornalino per una “Avventura “ con le slitte con i cani sui laghi del Nord Ontario, siamo saltati sull’aereo e sbarcati a Toronto … senza un filo di neve  e con le più alte temperature stagionali del decennio. Mentre percorriamo la Highway verso nord, tra betulle quasi fiorite e laghetti cristallini  il crollo del nostro entusiasmo è pari alla crescita del nostro furore. Appena arrivati a  Temagami assaliamo il povero Franco già per telefono “e ora cosa diavolo facciamo senza neve?!”  ma lui, serafico, ci porta alla sua casetta sul lago e ci fa vedere che ci sono neve e ghiaccio in abbondanza, basta uscire dalla strada e portarsi nel mondo fiabesco dei boschi e dei  laghi  gelati, tutto ancora immerso nella morsa dell’inverno.  Francesco (Libertini) è un bolognese che sette anni fa ha deciso di cambiare vita, ha mollato il negozio di moda maschile ed è venuto in Canada dove ha imparato a fare il pusher, ha incontrato la dolce ma grintosa Nadia, si è costruito uno splendido chalet di legno in riva ad un lago e conduce una vita forse rude, ma fiabesca,  in compagnia dei suoi adorati cani. E proprio di questi cani vorrei parlarvi un momento: io (ognuno ha le sue debolezze) ho paura dei cani e i racconti sulla ferocia e ingovernabilità dei cani da slitta mi avevano fatto meditare prima della partenza… ebbene, è tutto falso! Gli altri cani da slitta saranno feroci perché trattati con ferocia, qui la muta, coccolata e ben istruita, si è sempre comportata con docilità estrema, sembrava di aver a che fare con cani da salotto, e con una disciplina incredibile: legati in riga e alimentati uno per uno, i bestiolini aspettavano sempre tranquillamente il loro turno…

Passiamo una giornata nello chalet, a bere (e cosa altrimenti, nel Grande Nord?), mangiare e ad imparare la gestione delle slitte: come si caricano e scaricano, come si conducono, gli ordini (rigorosamente in lingua indiana) da dare ai cani, il modo di organizzare il campo e la seconda mattina, in una radiosa giornata di sole, partiamo per il nostro giro. Subito l’esperienza si rivela meravigliosa, ma solo per duri in buona salute. Un percorso, anzi un’esperienza esistenziale, diverso da tutti gli altri. I sette giorni in slitta non significano essere trasportati da un posto all’altro e vivere passivamente un’esperienza condotta da altri, ma partecipare attivamente e completamente a tutte le attività di un gruppo di “old style trappers”.

Più che tanti discorsi penso che sia significativa la descrizione di una giornata-tipo.

Sveglia attorno alle sette nella grande tenda montata la sera prima, una vera “base” con spazio per 8/10 persone e l’angolo di cottura con la stufa a legna. Superato lo stress di uscire dagli enormi sacchi a pelo (nella tenda la temperatura al mattino è di –10/-15 quando fa caldo) si corre a fare pipì, poi chi va a prendere l’acqua al buco nel ghiaccio sul lago, chi prepara la colazione, chi accende la stufa. In breve la temperatura aumenta, si mangia e si beve in abbondanza, si accudiscono i 18 cani, pulendoli e dando loro da mangiare, poi si inizia  a rifare i bagagli e a disporre tutto in ordine sulle slitte. Alle 9.30 circa, con la tenda ancora da smontare, parte “la traccia”, ovvero mezzo gruppo, ognuno con TUTTA la sua roba personale nello zaino a spalla, per aprire il percorso alle slitte attraverso il bosco, ripulendo il sentiero, con ascia e sega, da rami e tronchi caduti e riempendo eventuali fossi o pozze d’acqua che potrebbero far ribaltare una slitta lanciata in velocità (i cani infatti non vanno MAI piano). Il mezzo gruppo rimasto al campo smonta la tenda, operazione lunga  a causa del peso e delle dimensioni della medesima, carica le slitte e prepara “la linea” ovvero i cani da traino imbragati alle slitte in rigoroso ordine gerarchico. Alle 11/11.30 partono anche le slitte e verso le 12.30/13 raggiungono la traccia e, se il percorso è lungo, c’è il cambio delle persone: la traccia va sulle slitte e gli slittisti vanno a fare la traccia. Attorno alle 15.30 ci si ritrova tutti e si inizia a porre il campo, lavoro lungo e impegnativo, ove ognuno ha un compito ben preciso e in genere faticoso…  Per montare la grande tenda bisogna tagliare tre alberi e usarne un quarto come palo fisso,  spianare il terreno e (la tenda non ha fondo) ricoprirlo con uno spesso strato di rametti di pino, montare la stufa con relativa canna fumaria, rinforzare le spallette con muri di neve e ghiaccio, portare dentro i pesantissimi teli di canvas ignifughi per il fondo e tutto il materiale personale. Nel frattempo due legano i cani a due catene tese tra gli alberi, i maschi separati dalle femmine, e danno loro da bere, due vagano per la foresta con ascia e sega per procurare la montagna di legna secca che serve per la stufa mentre uno, il più sfigato, si spezza le braccia a forare con un lungo punteruolo  70/100 cm di ghiaccio per raggiungere l’acqua del lago… Verso le 18 è tutto finito e ci si riposa in tenda o fuori, ammirando il meraviglioso paesaggio. Intanto la corvè di turno prepara la cena, che viene letteralmente sbranata. Seguono il lavaggio dei piatti, grandi bevute di tisana, il pasto dei cani, discorsi attorno alla stufa e poi il tuffo nei sacchi, al riparo del freddo, sempre più intenso.

Beh, mi direte, ma perché diavolo dovremmo andare a farci un culo simile?

Ma perché…è “grande”! E’ un’esperienza, come dicevo, unica ed entusiasmante, che coinvolge veramente, come agli albori di AnM, tutti i partecipanti nella gestione dell’attività di gruppo, in un momento di vita totalmente diverso dal solito. E poi…c’è l’ambiente! Le grandi distese dei laghi gelati, i boschi di pini, abeti e betulle, il cielo azzurrissimo, il sole splendente tanto da abbagliare e scottare, le giornate di neve e tormenta, lo “white out” sul lago, quando si è immersi nel nulla, l’infinito, meraviglioso silenzio del Grande Nord, tu solo con i tuoi pensieri… E infine…ci sono le slitte! Dopo una brevissima spiegazione sei immediatamente “sbattuto” a condurre il mezzo, con i cani che capiscono subito che il “polso” non vale una cicca e iniziano a fare i cazzi loro, mentre tu  cerchi di tenere la slitta, di piegare in curva (ma in moto ti è sempre riuscito così bene…), urli, imprechi, rischi di cadere (o cadi) e alla fine sei felice, entusiasta e distrutto…

Questo è il background, poi ovviamente si sprecano le chicche e i fuori programma, come durante il primo smontaggio della grande tenda, quando, per una manovra sbagliata di Claudio (sempre lui, che ce l’avesse con me?) , il palo di colmo della medesima, in realtà un tronco di abete lungo 5 metri, mi cade sulla testa e per fortuna si limita a scotennarmi …

O quando, il terzo giorno, un crollo di alberi sulla pista nel bosco ci costringe a cercare un percorso alternativo lungo una ripida discesa verso il lago: i cani ovviamente si entusiasmano e partono a razzo… una radice sotto la neve blocca di colpo la slitta di Nadia e solo la sua esperienza le impedisce di stamparsi alla “Vil Coyote” contro l’albero di fronte…

Un’altra volta siamo ospiti del solitario guardiano di un campo di “cabins” estive e l’individuo non solo ci permette di dormire in una capanna riscaldata e ci invita a cena (con le nostre provviste) nella sua cucina, ma ci apre e prepara la sauna: il successivo tuffo nell’acqua del lago attraverso una spaccatura del ghiaccio è una di quelle cose che sei felice di poter  raccontare…

Ancora, a metà percorso, per far riposare le “bestiole” decidiamo di lasciare il campo fisso e fare un’escursione a piedi alla più alta “montagna” della zona, forse 400m…ma non è la quota a importare bensì il favoloso paesaggio: prima lasci le impronte delle tue racchette sulla neve del lago gelato, poi mostri la tua abilità ad inciamparti nei tuoi stessi piedi  muovendoti in un fitto sottobosco da fiaba, cosparso di cascate gelate e di rami caduti sotto la neve (…), infine raggiungi la vetta e  la contemplazione dell’infinita fuga di laghi e boschi è favorita da una ”leggera” brezza che ti fa sentire nudo nonostante i vestiti multistrato.

L’ultimo giorno, poi, si sconfina nella farsa: siamo finalmente arrivati, tutti a terra, molliamo anche gli agganci alle slitte e  zac!, i cani della slitta di Franco, colti da un improvviso raptus, partono a razzo verso casa, lontana ancora circa 20 Km. Inutili i richiami e gli ordini, Marco ha la presenza di spirito di buttarsi al loro inseguimento con la sua slitta, li raggiunge e li ferma con un placcaggio da slitta a slitta che avrebbe fatto la felicità di Jack London…

Finalmente , caricati …cani e bagagli, siamo sul pulmino che ci riporta a Temagami, ma non è ancora finita: l’autista giudica pura perdita di tempo seguire la strada e si butta a 80 all’ora lungo il lago gelato. L’esperienza, già di per sé intrigante, è migliorata dai mezzi che provengono in senso contrario e che si evitano all’ultimo istante con grandi sbandate…perché ovviamente è pericoloso frenare sul ghiaccio!

Basta. Ormai siamo a North Bay, dopo un intero pomeriggio passato sotto docce bollenti, nel più carnivoro ristorante del luogo, davanti a fumanti ali di pollo arrosto con salsa di aglio e miele, montagne di cipolle fritte e litri di birra, ma  i discorsi hanno un unico argomento: “ Quando torniamo a rifarlo?”

ANDATECI, VE NE RESTERA’ IL RICORDO PER TUTTA LA VITA!

Pubblicato sulla Rivista dell’anno 2001 n.1 sezione “taccuini”

                                                                                                                                  Maurizio Traverso