1990 Galapagos

Galapagos: Cronaca di una fine annunciata

(Maurizio Traverso dopo un soggiorno di oltre un anno in Ecuador affronta il Problema delle isole Galapagos)

Continuo a leggere sul Giornalino articoli entusiastici sulle Isole Galapagos, viste come “paradiso terrestre”, “arca di Noè del Pacifico”, luogo incredibile per flora e fauna e sempre traspare dalle parole una sorta di ceca fiducia per il presente ed il futuro delle isole.  Decine di partecipanti e di Capigruppo, abbagliati dalla “diversità” dei luoghi, si lasciano trascinare da una sorta di infantilismo che, complice anche il breve tempo di permanenza, fa sembrare tutto bello, perfetto, eterno. Niente di più falso! Las Islas Encantadas sono in coma profondo e se continua così in capo a pochi decenni non saranno più che un ricordo…

E posso ben dirlo io che ho lavorato a lungo in Ecuador visitando le Galapagos a distanza di circa 5 anni e seguendo tutta la loro storia sui media locali. Sulle isole, nominalmente Parco Nazionale, zona protetta, santuario della natura, e chi ne ha più ne metta, incombono tre pericoli mortali: turismo, “sviluppo” economico, politica. Il numero di turisti ammessi annualmente al Parco è in teoria contingentato, non più di 75000 persone, e già sarebbe una enormità, considerata la delicatissima ecologia dei luoghi. In pratica poi, visto che ogni turista paga un biglietto di ingresso di ben 40 dollari più un passaggio aereo dal costo spropositato, e considerando che lo stato ecuadoiano è perennemente affamato di valuta, vengono ammessi tutti i turisti che si presentano, creando delle vere e proprie resse. Basti pensare che dalla nave della Metropolitan tours sbarcano sulle varie isole ed isolette ben 90 persone alla volta con somma felicità delle sule nidificanti, delle iguane e delle foche che non hanno più un attimo di respiro in tutta la giornata e che stanno rapidamente imparando a cercare il cibo dalle mani dei turisti, in barba a tutti i divieti. Inoltre l’eccessivo calpestio  porta all’inadirimento ed allo sgretolamento del fragile substrato lavico e questo malgrado i percorsi obbligati.

Ma c’è di peggio. Cinque anni fa  i turisti erano “costretti” a vivere a bordo delle barche , mangiando e dormendo sulle medesime , trascorrevano solo pochi periodi a terra  e per di più al ritorno venivano perquisiti e neppure una pietra passava il severissimo controllo.  Ora tutto è cambiato e si va sviluppando uno sciagurato “turismo stanziale”  di gente che va allle Galapagos a fare il mare !!!  Le acque circostanti le isole sono infatti le uniche «belle» di tutta la costa pacifica e come tali molto ambite dal ricco turismo locale ed internazionale. Ecco quindi sorgere come funghi agenzie, alberghi, barche che assicurano un soggiorno balneare con “in più” qualche gita giornaliera a vedere gli animali, con buona pace dell’interesse naturalistico e del rispetto ecologico. Questo comporta l’arrivo di orde di burini: che se ne sbattono della natura e vogliono solo spiagge, mare, boutigues e comodità: è recente la richiesta, avanzata all’ente parco, di mettere chioschi per bevande sulle varie spiagge… il Parco ha risposto picche, ma i usque tandem? Tra l’altro ho letto con raccapriccio che già alcuni gruppi di AnM hanno visitato le Isole in questo modo sciagurato, giudicandolo “bello e utile per evitare il mal di mare”. Poveri noi, la conoscenza e il rispetto della natura sono proprio parole vuote per certa gente! Troppi confondono la natura con un parco di divertimenti e non sono disposti a fare il minimo sacrificio per preservarla. Ma i turisti sono solo una delle disgrazie delle Isole…! In questi ultimi anni i giapponesi hanno ottenuto (chissà come o, meglio, tutti sanno benissimo come) il permesso di pescare il pescecane nelle acque – pure loro protette – del parco. Naturalmente i buoni figli del sol levante pescano qualsiasi cosa si imbatta nelle loro reti, rischiando di svuotare il mare in poco tempo, data anche la dabbenaggine dei pesci da sempre abituati ad essere lasciati in pace!  La stazione Darwin (centro scientifico privato, con finanziamenti internazionali, che opera sulle isole e a cui si deve, tra l’altro, il salvataggio delle tartarughe giganti) ha provato a protestare, scatenando uno sconcertante rigurgito di bieco nazionalismo sui giornali, che sono giunti a chiedere la sua espulsione in quanto “attenta al nostro diritto di fare quello che vogliamo su di un lembo della nostra terra”.  Sic!  Ma non è finita. I locali (e vedremo tra breve perché si moltiplicano a ritmo vertiginoso) oltre che a vivere di turismo, si dedicano all’agricoltura e all’allevamento di vacche. Le nuove piante introdotte sono molto più “forti” delle autoctone, gatti e cani fanno strage di uova e immaturi, mentre le vacche, apparentemente innocue, costringono a cintare i terreni e a rubare sempre nuove aree al  Parco. ll tutto per ottenere risultati economicamente pietosi.

Ma perché aumentano così i residenti alle Galapagos?  Qui tocchiamo il punto più tragico, quello che per me è l’inizio di una fine inarrestabile: le Isole sono state proclamate ma provincia dello Stato e come tali ammesse a tutti gli incentivi di legge. Questo si traduce in:

  • favorire l’immigrazione di “colonos” – in pratica morti di fame senza arte né parte oppure semplici prestanome per speculatori di terreni e di strutture turistiche – che vanno a colonizzare le isole e a valorizzarne “la vocazione agricolo-pastorale”!  La popolazione è passata, in pochissimi  anni, da 900 abitanti a 12.000!!! Cifre che parlano da sole;
  • favorire lo sviluppo socio economico delle Isole, cosa che, nell’ottica locale, significa trasformarle in campi coltivati, terreno da allevamento (tra parentesi, tutte iniziative  destinate ad abortire, per mancanza di acqua e di terra, ma quando ci se ne renderà conto sarà troppo tardi) e, visto che la natura aiuta, coprirle di turismo, meglio se becero e spendaccione. È recentissima la decisione, malgrado la strenua opposizione dei naturalisti, di costruire a Puerto Ayora un albergo a cinque stelle, con tutto quello che comporta;
  • garantire ai “residentes” un livello di vita comparabile con quello della terraferma. Allo scopo i politici locali si sono già mossi per avere distributori di benzina, centrale elettrica più grande, dissalatori, discariche etc.: in breve si perderà la memoria storica di cosa erano le Galapagos, diventate ormai lande sovrappopolate e inutili.

Nessuno, ovviamente, vuole contestare il diritto della gente a stare meglio; voglio solo mettere in rilievo la politica suicida (ma applicata ovunque in Sud America) di cercare di risolvere i problemi di sovrappopolazione scaricandone l’impatto sulla natura ancora vergine.

Le Galapagos non devono essere né sviluppate né valorizzate, devono essere solo conservate, come uno dei più meravigliosi labo ratori della natura e l’uomo, al limite, non dovrebbe neppure porcipiede. Un piccolissimo lembo di terra non occupato dal parassita uomo non creerebbe certo problemi insolubili per l’umanità, così come il ricoprire le isole di case e persone non darà il minimo contributo a risolvere i problemi dell’Ecuador. Ma non dimentichiamoci che tutto ciò è reso possibile anche dal nostro disinteresse concreto: continuiamo a dire “belle, belle!” ma non facciamo niente per aiutarle, anzi apprezziamo le comodità che ci rendono più facile il soggiorno.

Pubblicato sulla Rivista dell’anno 1991 n.6 

Giuliana Bencovich