La
storia degli asparagi alla Milanese
Gli asparagi alla
Milanese possono davvero essere definiti tra le piu' antiche ricette. Se ne
trova traccia addirittura in un passo del De Bello Gallico, dove lo
stesso Cesare racconta di aver cenato, di ritorno dalla Gallia, in una corte
milanese con asparagi al burro, tra lo stupore dei luogotenenti romani, avvezzi
soltanto all' olio. E' il burro infatti, uno dei protagonisti della cucina
tipica Milanese.
Storia e
curiosita' sull' asparago - da fonti varie
L' asparago ha una
storia assai lunga che si può far risalire alla terra d' Oriente, dove nasceva
spontaneo e selvatico. Ha origine nelle zone temperate dell'Asia (probabilmente
in Mesopotamia), e in breve tempo è noto agli Egizi (fra l' altro lo mettono
fra i doni che accompagnano Nefertiti nel regno delle ombre), ai Greci (che gli
attribuiscono proprietà afrodisiache) e ai Latini. Anche nel Mediterraneo,
crocevia d' innumerevoli traffici commerciali e di proficui scambi culturali,
arrivò infatti in età antichissima. Nelle zone temperate dell'Europa trovò poi
il clima e l' ambiente ideale per crescere.
Come spesso succede nella storia degli ortaggi, dapprima fu usato quasi
esclusivamente per le sue qualità medicamentose e terapeutiche (nella
preparazione di decotti e poltiglie medicinali per curare infiammazioni
intestinali, occhi e reni). E' ai Romani che, forse, spetta il merito d'averne
scoperto le virtù gastronomiche.
I Romani, che lo dedicarono a Venere, lo battezzarono asparagus e lo apprezzarono molto. Ricette a base di asparagi sono
registrate nei più famosi libri di cucina dell' impero e Giovenale, un illustre
letterato, ci ha lasciato la descrizione di un suo pasto (per altro considerato
alquanto frugale da altri vip
dell'epoca...): il menù comprendeva «un capretto bello grasso [...], qualche
asparago di montagna, uova belle grosse, non senza le galline che le han fatte
e per finire uva, pere e mele». Uno dei detti attribuiti ad Augusto era “Svelto
come asparagi bolliti”
I nostri progenitori, occorre aggiungere, erano già ben consapevoli del fatto
che gli asparagi vanno sì cotti, ma non troppo. Tant' è che Svetonio, nel
narrare una certa azione velocissima compiuta da Augusto, scrisse che c' era
voluto meno tempo di quanto ne serva per lessare gli asparagi («citius quam
asparagi coquantur»). E, ancora, già Catone il Censore aveva fornito una serie
d'istruzioni per la coltivazione (nel "De Agricultura", III sec. A.
C.) mentre in alcuni versi Marziale elogiò gli asparagi di polpa tenerissima
che crescevano sul litorale di Ravenna (da cui erano esportati in gran copia
nell' Urbe, per deliziare il palato dei ceti più benestanti: per i meno
abbienti «la natura volle che gli asparagi fossero selvatici perché ciascuno potesse
raccoglierne», come scrisse Plinio il Vecchio nella sua "Naturalis
Historia" (I sec. D. C.), e dunque a loro erano riservati unicamente
questi.
Caduto l’impero
romano, l’asparago sembrò scomparire dall’Italia e durante il Medioevo venne
coltivato quasi solo nei monasteri, assieme alle tante erbe cui i monaci
dedicavano le loro attenzioni.
Secoli dopo viene
ripresa la coltivazione e la vendita in mazzi di questi delicati turioni; il
raffinato Luigi XVI ne era ghiottissimo.
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A titolo di curiosità si può anche rammentare, soprattutto agli appassionati di
storia della biologia, che dall'asparago fu isolato - nel lontano 1806 - il
primo aminoacido trovato in natura: quello denominato, non per caso,
"asparagina".