Via Case Rotte e Palazzo Marino – Testo di Lisa Garavaglia e Guido Platania |
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Da piazza
Belgioioso parte la corta viuzza di Via degli Omenoni (Omoni in milanese). La
strada è nota giusto per il palazzo degli Omenoni. Da lì si sbocca
in Via Case Rotte. E’ un nome un po’ strano che ha una ragion d’essere. |
. VIA CASE
ROTTE - Qui sorgeva il vasto complesso dei giardini dei
Torriani (o della Torre) che hanno dato a Milano diversi podestà, tra il 1200
ed il 1300. Tra questi ricordiamo Napoleone Torriani (vicino a stazione
centrale c’è Via Napo Torriani). La zona dei giardini arrivava fino alla
attuale Via Montenapoleaone. Nei giardini avevano posto i palazzi dei
Torrioni. Questi subirono dei saccheggi (a seguito della sconfitta subita a
Desio di Napo nella battaglia contro i Visconti). E furono definitivamente
distrutte a seguito della calata in Italia dell’imperatore Enrico VII del
Lussemburgo. I Torriani cercarono di opporsi con una congiura. Furono
lasciati soli e nel 1311 gli armigeri tedeschi sfondarono la resistenza
offerta dai rivoltosi e saccheggiarono, incendiarono e distrussero tutto il
complesso. Da allora restò il nome di Via Case Rotte |
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Attraversata
Via Case Rotte, si raggiunge Piazza S.Fedele, dove c’è la chiesa di S.Fedele,
ed il centro culturale S.Fedele. E dove aveva sede, e penso abbia tuttora
sede il centro Paesi e Popoli delle Missioni. Ma, con la facciata, una volta ritenuta principale, su questa piazza c’è Palazzo Marino, con la sua storia |
PALAZZO MARINO – tra storia e leggenda
La storia di Tommaso
Marino e della sua più nota creatura, il palazzo attualmente sede
dell’Amministrazione Comunale, inizia ai primi del Cinquecento. Tommaso
Marino arriva a Milano nel 1546 con la moglie Bettina Doria e la sua numerosa
famiglia. Stabilitosi inizialmente a S. Fedele, nella casetta del fratello,
dopo una serie di lucrosi e spregiudicati affari, decide di costruirsi una
casa piu’ comoda ed inizia ad acquistare due case nell’area che verrà successivamente
occupata dal palazzo. Il disegno per questo
palazzo venne assegnato dal Marino
all’architetto perugino Galeazzo Alessi, che soggiornò a lungo Milano
lasciando tracce più o meno confermate della sua opera in San Barnaba, Santa
Maria presso San Celso, San Raffaele, San Vittore al Corpo, nel Sacro Monte
di Varallo e in Duomo (organi). Il suo stile, tratto dalle esperienze
manieristiche romane, più di scuola raffaellesca che michelangiolesca,
provocò una grande trasformazione nel gusto decorativo milanese estendendosi
a molti altri edifici (Certosa di Garegnano, Palazzo dei Giureconsulti) e
influenzando profondamente le arti minori (ceselli, nielli, ricami, vetri
incisi) sino alla fine del secolo e oltre. Un anno dopo la posa
della prima pietra (1558) l’ultraotantenne banchiere, in un eccesso di
megalomania che ne caratterizza costantemente la personalità, acquista
un’intera cava a Brembate da cui ottenere la materia prima per la costruzione
della casa. Dal ‘58 al ‘60 i
lavori procedono molto speditamente lasciando a bocca aperta i milanesi, che
insofferenti per la boria e i maneggi truffaldini del genovese (che pare
passeggiasse per Milano in una carretta interamente ricoperta d’oro),
inventano il motto: Congeries
lapidum, multis constructa rapinis (Accozzaglia
di pietre, costruita grazie a molte ruberie Le prime due profezie
si avverarono: il palazzo cadde in rovina a causa della vita dispendiosa del
Marino, che diede presto fondo all’ingente ricchezza accumulata, perdendo
pure la fiducia del Governo e di altri facoltosi clienti; poi venne
confiscato dagli Austriaci, che si aggiudicarono il dominio del Ducato di
Milano nel 1706, durante la guerra di successione al trono spagnolo. Ora i
milanesi attendono con paura l’avverarsi del terzo anatema. Molte leggende e favole popolari nacquero intorno
alle vicende del palazzo e della famiglia Marino, forse proprio perché il
ricco faccendiere era odiato a causa della sua avidità di denaro e detestato
dal popolo vessato dalle molteplici gabelle.
Si racconta che un giorno il conte, mentre camminava altezzoso per il centro
della città, vide uscire dalla chiesa di San Fedele una ragazza bellissima.
S’informò e venne a sapere che la ragazza si chiamava Ara, figlia di sua
Eccellenza Cornaro, patrizio veneziano. Tommaso Marino chiese
la mano della bellissima Ara, ma si sentì rispondere con un rifiuto. Il
patrizio Veneziano non avrebbe mai concesso in sposa sua figlia a chi non le
avesse offerto un alloggio degno dei palazzi della fastosa Venezia. Per
questo motivo il banchiere fece costruire un palazzo insuperabile per lusso e
splendore, come non se n’erano ancora visti in tutta Milano. Fu così che
riuscì a sposare la bellissima Ara. Il Marino volle che la sfarzosa reggia
sorgesse dove aveva incontrato per la prima volta la sua amata, di fianco
alla chiesa, in Piazza San Fedele. A differenza delle altre dimore milanesi, Palazzo
Marino è completamente isolato sui quattro lati, che danno su via Case Rotte,
piazza della Scala, piazza San Fedele e via Marino. L'edificio, con facciate
a intercolonni in cui si apre un portone fiancheggiato da colonne binate e
sormontato da un grandioso balcone, si eleva a tre ordini: dorico
l'inferiore, ionico il secondo, con lesene scanalate che scandiscono
finestre-balcone alternate a finestre rettangolari dal timpano curvilineo
spezzato, corinzio quello superiore, con erme sostenenti il ricco cornicione
di coronamento e finestre, sempre rettangolari, a timpano triangolare. Quella
su via Marino, a soli due ordini, doveva essere la fronte principale, poiché
rivolta verso il centro della città, ma come già detto non fu portata a
termine al tempo di Marino e fu completata solo nei decenni successivi alla
sua morte insieme al cortile che da essa si scorge. Vero capolavoro del
manierismo ed espressione piena dell'architettura alessiana è il cortile
d'onore: di forma quadrata, con doppio loggiato a colonne tuscaniche binate
in basso e a larghi pilastri scavati da nicchie e delimitati da erme al
superiore, presenta in quest'ultimo una decorazione fantastica a cariatidi,
mensole, vasi, greche ecc., che domina l'insieme con la sua esuberanza
plastica. Una grande fascia a greche separa il piano inferiore dal superiore.
Ricchissimo anche il cornicione, a festoni di fiori e di frutta, mascheroni e
cartelle barocche. Nel cortile sono raffigurate le fatiche di Ercole
(registro inferiore) e le Metamorfosi di Ovidio (registro superiore). Il
cortile secondario era previsto a giardino. Dal cortile d’onore si accede al
"salone delle feste", detto dell'Alessi, ritoccato nell'Ottocento e
in gran parte distrutto durante l'ultima guerra. Il salone d’onore viene
realizzato grazie al contributo di artisti genovesi , i fratelli Andrea e
Ottavio Semino. Nel soffitto Andrea Semino aveva dipinto le Nozze di amore e
Psiche nel convito degli Dei e aveva realizzato gli
stucchi sempre con storie di Amore e Psiche. Agli angoli del soffitto Aurelio
Busso aveva dipinto le Quattro Stagioni. Sotto il cornicione le Muse, Bacco,
Apollo e Mercurio affrescati da Ottavio Semino, alternate con bassorilievi
con le storie di Perseo. Sugli ingressi erano stati collocati i busti di
Marte e Minerva. Il salone d’Onore fu ritoccato nell'Ottocento ma e’ andato purtroppo in
gran parte distrutto durante l'ultima guerra.. |
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