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Domenica 18 Febbraio 2007
I LUOGHI DEL MANZONI – LA PESTE Il
percorso guidato a piedi è di 2 ore e NON prevede quote ingressi. COME ARRIVARE CON I MEZZI
PUBBLICI |
Programma di massima A piedi 14.45 - Ritrovo davanti Ala fontana di Piazza Fontana 15.00 - Partenza Spesa prevista – 10 € a testa la guida
(gruppo di meno di 25 persone) 9 € a testa la guida (gruppo di almeno 25 perosne) Meno di 15 persone, il giro non viene fatto. |
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LA STORIA DELLA COLONNA INFAME
La Storia della colonna infame è la storia di una
cronaca giudiziaria. Nella Milano del XVII secolo un uomo viene visto
aggirarsi con sospetto all’alba. Questo sospetto basta per farlo arrestare con l’accusa infamante di essere un untore, di
avere cioè sparso per la città dell’unguento pestifero.
L’uomo,
malgrado i supplizi della tortura, nega l’accusa. Viene di nuovo torturato e
finisce per confessare. I giudici, a questo punto, vogliono conoscere i nomi
dei suoi complici, perché non può non aver avuto dei complici. Viene così
tirato in ballo il suo barbiere. Anche questi, arrestato, prima nega, poi
finisce per confessare sotto lo strazio della tortura, Viene così accusato un
terzo uomo. E da questi, grazie all’ostinazione dei giudice, si giunge a
scoprire una fantomatica catena di untori che ha al proprio capo un
insospettabile, tale cavalier Padilla, di nobile lignaggio spagnolo. Anche
questi viene arrestato, interrogato, ma non torturato. Ed alla fine
scagionato. Tutti gli altri, invece, vengono condannati a morte e nel punto
della città dove sorgeva la casa del barbiere viene fatta erigere una
colonna, a monito immortale della riprovevole azione di aver diffuso la
peste. La storia della colonna
infame di Alessandro
Manzoni ha conosciuto due versioni, tra loro molto diverse per ispirazione e
risultato stilistico: una prima versione, «componimento misto di storia ed
invenzione», nella quale prevalgono gli spunti narrativi, i dettagli
apparentemente insignificanti, magari pure inventati, l’approfondimento psicologico; ed una seconda
versione che, dentro il solco della “letteratura del vero”, riduce al minimo il fuoco narrativo
originario per dare spazio all’analisi storico-giuridica.
L'osservazione storica manzoniana,
peraltro, non ha la forza profetica di un’altra versione della storia della colonna
infame, quella di Pietro Verri di Osservazioni sulla tortura,
pamphlet scritto nel 1777 e pubblicato nel 1804. Mentre Verri,
infatti, scrive le Osservazioni con un intento espressamente politico:
sostenere l’abolizione totale della tortura; Manzoni edulcora il suo
scritto di ogni punta polemica per limitarsi al succo giuridico-civile,
rimettendo tutta la responsabilità dell’ingiustizia subita alla responsabilità
individuale. L'esistenza o meno della tortura è un fatto secondario.
Il limite della Storia di Manzoni è
tutto qua: aver sacrificato gli spunti narrativi della prima versione, per
trasformare il racconto in un saggio. Solo che il saggio era stato già
scritto e per una causa di grande importanza civile.
Rimane la forza di un testo — per la vertià, più famoso che letto — sulla inaffidabilità dell’animo umano, che è diventato un simbolo per
sgretolare i pregiudizi ed i luoghi comuni, tramutatosi, tuttavia, esso
stesso in un grande luogo comune letterario.
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http://www.homolaicus.com/letteratura/manzoni.htm
IL MANZONI
ALESSANDRO MANZONI (1785-1873) Nasce a Milano nel 1785
da un padre di recente nobiltà, Pietro Manzoni, e da Giulia Beccaria (figlia
del celebre Cesare Beccaria, autore Dei delitti e delle pene, contro
la pena di morte e le torture). Il matrimonio era stato d'interesse, in
quanto il patrimonio dei Beccaria era in dissesto. Peraltro Giulia non solo
era più giovane di 26 anni, ma nutriva anche idee borghesi, più progressiste
di quelle aristocratiche del marito, dal quale infatti si separerà nel 1792,
unendosi a Carlo Imbonati e trasferendosi a Parigi. Il figlio Alessandro
iniziò a studiare presso collegi religiosi (somaschi e barnabiti), ma a 16
anni scrive un poemetto, di ispirazione giacobina, Il trionfo della libertà,
dimostrando che l'educazione religiosa ricevuta in quei collegi non aveva
avuto alcun effetto su di lui. La sua prima formazione intellettuale fu
piuttosto razionalistica e illuministica, anticlericale e antidispotica,
influenzata dalle idee che l'impresa napoleonica trapiantò in Italia. In
particolare, egli ha ben chiaro, sin dall'inizio, che il poeta deve avere una
funzione pedagogica o educativa, pratica e moralizzatrice, strettamente
legata alle vicende storiche. Morto l'Imbonati, Giulia
torna in Italia nel 1805 e propone al figlio, che accetta, di seguirla a
Parigi. In questo periodo, l'opera più significativa del Manzoni è il Carme
in morte di Carlo Imbonati, ove si esalta la funzione dell'arte volta
alla formazione dell'uomo morale (disposto al sacrificio, interiormente
libero, virtuoso, ecc.) e dove si rifiuta nettamente la mitologia in uso in
molta poesia del suo tempo. A Parigi, dal 1805 al
1810, Manzoni frequenta i circoli letterari e culturali in cui domina la
filosofia razionalista e materialista del Settecento, stringe amicizia con
Fauriel (uno dei promotori del Romanticismo in Francia) che lo avvia allo
studio della storia, e sposa nel 1808 Enrichetta Blondel, di religione
calvinista, che lo porterà, in seguito, a rivedere i suoi giudizi critici
verso la religione, tanto che (aiutato anche dalle conversazioni con due
insigni religiosi giansenisti dell'epoca), nel 1810 il Manzoni decide di
convertirsi al cattolicesimo, coinvolgendo in questa decisione anche la
moglie. Appena convertito, il
Manzoni decide di lasciare per sempre Parigi (vi ritornerà per alcuni mesi,
per curarsi da una forma di esaurimento nervoso) e, rientrato a Milano, vi
rimane quasi ininterrottamente dal 1810 alla morte. Il padre, morto nel 1807,
gli aveva lasciato in eredità tutti i suoi beni. Praticamente la sua vita non
ha più date importanti che non siano quelle della pubblicazione delle sue
opere. Tutti gli scritti giovanili precedenti alla conversione vengono da lui
rifiutati. A Milano il Manzoni si
pone dalla parte del Romanticismo e della corrente politica liberale
favorevole all'unificazione nazionale. Nel 1815 scrive Il Proclama di Rimini,
esaltando l'iniziativa di Gioacchino Murat che da Napoli aveva risalito col
suo esercito la penisola invitando gli italiani (che però non risposero) a
combattere contro gli austriaci per l'indipendenza nazionale (il tentativo
poi fallì miseramente). Alla caduta di Napoleone rifiuta di rendere omaggio
agli austriaci, rientrati a Milano. Anzi, nel 1821, quando si sparge la
notizia dei moti rivoluzionari piemontesi (cosa che per un momento fece
credere che il principe sabaudo Carlo Alberto fosse sul punto di liberare la
Lombardia dagli austriaci), il Manzoni compose l'ode Marzo 1821,
interpretando il sentimento patriottico dei lombardi; e nello stesso anno,
appresa la notizia della morte di Napoleone, scrive l'ode Il Cinque Maggio,
in cui rievoca i trionfi, le sconfitte, l'esilio e la morte del Bonaparte,
alla luce della provvidenza cristiana, lasciando alla storia il diritto di
giudicare. La maggior parte delle
opere del Manzoni viene scritta nel giro di 15 anni: dal 1812 (in cui inizia
la composizione degli Inni sacri: La resurrezione, Il nome
di Maria, Il natale, La passione e La pentecoste
[quest'ultima è la più importante]), al 1827 (in cui conclude la stesura dei Promessi
sposi). Oltre alle due liriche politiche suddette del 1821, scrive due
tragedie: Il conte di Carmagnola (dedicato al Fauriel): protagonista
di questa tragedia è Francesco Bussone, conte di Carmagnola, condottiero di
ventura del primo Quattrocento. Dopo aver servito Filippo Visconti, signore
di Milano, egli passò al servizio di Venezia, rivale di Milano, non
sentendosi sufficientemente ricompensato. Inflisse al Visconti una dura
sconfitta, ma la sua generosità verso i vinti lo rese sospetto ai veneziani
che con l'accusa di tradimento lo giustiziarono. Il Manzoni è convinto che il
Carmagnola fosse innocente e vittima di una congiura. Ma il senso della
tragedia sta piuttosto nel giudizio negativo su quella "politica"
che non tiene conto dei valori etici, e su quella "politica"
municipalistica e regionale in nome della quale gli italiani da secoli
avevano rinunciato all'unificazione nazionale. L'altra tragedia è l'Adelchi
(dedicata alla moglie Enrichetta): essa ha per oggetto l'ultimo periodo
della dominazione longobarda in Italia, dal ripudio che il franco Carlo Magno
fece della moglie Ermengarda (figlia del re longobardo Desiderio) alla resa
longobarda di Verona, dove si era rifugiato Adelchi, fratello di Ermengarda.
Secondo la storia Desiderio fu deportato in Francia, mentre Adelchi fuggì a
Costantinopoli: il Manzoni invece li fa morire entrambi). I protagonisti
della tragedia sono Ermengarda, che, vittima innocente di manovre politiche,
non si rassegna al divorzio, essendo ancora innamorata del marito, e che
muore di consunzione nel monastero in cui era stata reclusa; e Adelchi, il
cui dramma interiore è completamente inventato dal Manzoni: Adelchi infatti
si dibatte fra le sue aspirazioni ideali alla giustizia (non sopporta
l'offesa arrecata alla sorella), le sue aspirazioni alla pace (è contrario
alla politica di conquista del padre, anche se per obbedienza lo asseconda),
e le sue convinzioni religiose (essendo cristiano, nella tragedia, non vuole
combattere contro i Franchi, anch'essi cristiani). Nella tragedia Adelchi
muore perché si rende conto che nella storia c'è poco spazio per i sentimenti/desideri/valori
umani. L'eroe cristiano deve resistere con l'esempio personale e la sua forza
morale agli attacchi del "male" (ingiustizia, oppressione, ecc.),
ma può sperare che il suo eroismo gli venga riconosciuto solo al cospetto di
Dio. Nell'importante coro Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti,
Manzoni esprime un giudizio fortemente negativo su quegli italiani che si
lasciano dominare dagli stranieri senza reagire o che sperano d'essere
liberati da uno straniero con un altro straniero (il riferimento agli
austriaci e borboni del suo tempo era evidente). Oltre a queste due
tragedie si devono ricordare le due importanti Lettere sul Romanticismo
indirizzate a Chauvet e a Massimo d'Azeglio (vedi più avanti) e le Osservazioni
sulla morale cattolica, in cui vengono esaltati i principi e il valore
della morale evangelica, contro la tesi del Sismondi che riteneva la
religione cattolica fonte di molti mali della società moderna. Nel 1827, dopo la prima
edizione dei Promessi sposi, il Manzoni per qualche tempo con la
famiglia si reca a Firenze, allo scopo di correggere secondo l'uso toscano la
lingua usata per il romanzo. In effetti, finché scriveva liriche e tragedie,
rivolgendosi a un pubblico molto colto, il Manzoni aveva potuto usare il
linguaggio tradizionale senza porsi particolari problemi (se non quello della
chiarezza e dell'aggancio alla realtà). Ma quando intraprende la stesura del
romanzo, destinato al vasto pubblico, il problema della lingua diventa subito
fondamentale. Egli aveva bisogno di una prosa narrativa facilmente
comprensibile, in grado di superare il distacco tra lingua parlata e scritta.
La tradizione però non gli offriva alcun valido aiuto. Nel caso della
Francia, ad es., il dialetto di Parigi si era imposto a tutta la nazione.
L'Italia invece non aveva una capitale e Roma era la patria del latino. Di
qui l'esigenza di ricercare quella città che con la sua lingua (parlata e
scritta) avesse esercitato almeno per alcuni secoli una specie di
"egemonia culturale" sul resto della nazione. La sua scelta cadde
su Firenze, cioè sul fiorentino usato dalle persone colte. Ed è così che
nasce con i Promessi sposi la prosa narrativa moderna dell'Italia. La prima versione del
romanzo s'intitolava Fermo e Lucia (1812) ed è molto diversa dalla
seconda e definitiva edizione, pubblicata tra il 1840 e il '42. Vi è una
certa differenza di contenuto (oltre che ovviamente di stile) persino tra la
prima edizione del 1827 e la seconda: in quest'ultima la severità morale e
religiosa è attenuata (ad es, le due figure di don Rodrigo e della monaca di
Monza sono descritte con colori meno accesi). Nell'ultima edizione apparve in
appendice la Storia della colonna infame, un racconto ambientato nello stesso
periodo storico del romanzo. Si tratta di una specie di requisitoria contro i
giudici che condannarono a terribili torture i presunti untori della peste di
Milano nel 1630. "Colonna infame" era appunto chiamata la colonna
che venne eretta nello spazio della casa abbattuta di uno dei due, a perenne
ricordo dell'infamia e dell'esemplare condanna. Manzoni cercò di dimostrare,
con l'esame degli atti del processo, l'innocenza dei due imputati, vittime
soltanto della superstizione, della collera popolare e della debolezza dei
giudici e delle autorità. Dopo il 1827 l'attenzione
del Manzoni si rivolge prevalentemente a questioni di carattere culturale,
storico e linguistico. A partire dal 1833 una serie di disgrazie familiari
colpisce la sua casa. Gli muore la moglie, nel '34 la primogenita (appena
sposata con D'Azeglio), nel '41 la madre, nel '61 la seconda moglie, che
aveva sposato nel '37 e con cui aveva vissuto un matrimonio poco felice; in
varie date perde 6 figli su 8. Nel 1848, scoppiata la
rivoluzione delle Cinque giornate di Milano, incita i tre figli maschi a
prendervi parte e benché uno di essi fosse caduto prigioniero e ostaggio
degli austriaci, firma un appello a tutti i popoli e principi italiani perché
aiutino i milanesi. Gli austriaci poi rioccupano la città e per quanto
cercassero di inaugurare un governo più mite (ad es. speravano che il Manzoni
accettasse una loro decorazione), il suo atteggiamento di aperta opposizione
non venne mai meno. Nel 1849 viene eletto
deputato nel collegio di Arona in Piemonte, ma rifiuta il seggio perché non
si sentiva tagliato per la politica. Nel 1859, liberata la Lombardia,
Vittorio Emanuele II, considerando il suo patriottismo e le sue difficoltà
economiche, gli conferisce una pensione annua di 12.000 £; nel 1861 lo nomina
senatore. Nello stesso anno egli si reca a Torino per votare la proclamazione
del Regno d'Italia. Nel '64 si reca nuovamente a Torino per votare il
trasferimento della capitale a Firenze. Nel '70 saluta con gioia l'entrata
delle truppe italiane a Roma (breccia di porta Pia, fine dello Stato della
Chiesa), venendo a contrasto col movimento neoguelfo, che già dal '48 si era
ritirato dalla causa nazionale, temendo il peggio per la Chiesa. Nel '72
viene nominato cittadino onorario di Roma. Muore l'anno dopo per meningite
cerebrale a Milano. L'ispirazione dei Promessi Sposi Secondo l'opinione del
direttore dei musei manzoniani di Lecco, prof. Gianluigi Daccò, quando il
Manzoni disse nel suo romanzo d'essersi ispirato a vicende storiche trovate
nel manoscritto di un anonimo, diceva la verità, solo che il protagonista di
quelle vicende era un suo trisavolo, di nome Giacomo Maria, vissuto nella
zona di Lecco nella prima metà del Seicento. I documenti si trovano
nell'archivio di famiglia dello scrittore. Ecco la storia, che
praticamente inizia verso il 1610. Lecco e la Valsassina erano le zone di
massima produzione del ferro di tutto il Ducato Lombardo. Due importanti
famiglie, i Manzoni di Lecco e Barzio (capeggiati appunto da Giacomo Maria) e
gli Arrigoni di Introbio (capeggiati da Emilio), controllavano l'intero ciclo
produttivo del ferro: dalle miniere e fonderie della Valsassina alle officine
per produrre archibugi e palle da cannone. Avevano molti dipendenti,
fortissimi mezzi economici e solidi agganci con le strutture politiche,
amministrative e giudiziarie. Ognuna si avvaleva di una vera legione di
"bravi", destinati a risolvere le trattative degli affari con le
armi della minaccia, del sequestro di persona e persino del delitto. Le due
famiglie si contendevano il controllo esclusivo dell'altoforno di Premana,
una struttura in cui lavoravano 150 persone. Nell'Archivio di Stato
sono presenti gli atti di due lunghe e complesse vicende giudiziarie. Una
riguarda il procedimento per omicidio contro Giacomo Maria, accusato di aver
fatto assassinare un Arrigoni, per una questione di donne. Nell'altra
l'imputato è sempre Giacomo Maria, ma l'accusa questa volta degli Arrigoni è
quella di essere un untore, cioè di aver mandato in giro dei monatti a ungere
persone o cose con materiale infetto, per distruggere la famiglia degli
Arrigoni (la peste a Milano e a Lecco era scoppiata nel 1630). Fu il Senato di Milano
che, preoccupato del diffondersi della peste, incaricò il giureconsulto Marco
Antonio Bossi di condurre una dettagliata indagine. Tre monatti furono arrestati
e, sottoposti a tortura, confessarono chi era il mandante. Al termine del
lungo processo essi furono condannati e giustiziati, ma Giacomo Maria, grazie
alle sue protezioni, riuscì a cavarsela. Il tribunale aveva deciso un
supplemento di indagini dalle quali poi risultò ch'egli era stato vittima
della rivalità degli Arrigoni. I quali però non si arresero e nel 1640
riuscirono finalmente a spuntarla sul Manzoni. Ora le analogie col
romanzo sono molto evidenti:
IDEOLOGIA E POETICA Manzoni è il rappresentante più significativo del
movimento romantico italiano. In lui si realizza la sintesi delle idee
illuministiche con quelle cristiane. Vi è quindi il rifiuto del materialismo
ateo di Foscolo e Leopardi, ma non quello delle idee illuministiche di
giustizia, libertà, uguaglianza, fraternità, le quali però vengono per così
dire "battezzate" da una religiosità cattolico-giansenista, non
dogmatica, ma critica, aperta alle idee democratiche e laiche del suo tempo,
austera e rigorosa sul piano morale. L'idea religiosa dominante è quella di provvidenza, grazie
alla quale anche il male -secondo il Manzoni- può essere ricompreso in una
visione più globale della storia. Il dolore che gli uomini soffrono a causa
delle ingiustizie/oppressioni non può mai essere disperato se si ripone
fiducia nella provvidenza divina. Chi vuole compiere il male è guardato dal
Manzoni non con disprezzo ma con ironia, appunto perché il credente sa in
anticipo che il corso della storia non può essere modificato dalle singole
azioni negative degli uomini. Ovviamente per il Manzoni gli uomini non devono
attendere passivamente la realizzazione del bene, ma devono avere
consapevolezza, nel mentre cercano di vivere con coerenza il loro ideale
evangelico di giustizia, che la realizzazione del bene dipenderà dai tempi
storici della provvidenza più che dalla loro volontà. Senza questa
consapevolezza gli uomini tenderebbero ad attribuire a loro stessi la causa
di ogni bene, il che li porterebbe facilmente a ricadere nel male. Sul piano poetico, Manzoni rifiuta categoricamente ogni
mitologia, ogni fantasia che non abbia riscontri reali, ogni imitazione
pedissequa dei classici greco-romani. Accetta la fusione della storia con la
poesia (di qui ad es. il concetto di "romanzo storico"), perché se
la storia racconta la verità oggettiva degli avvenimenti, la poesia può
raccontare la verità soggettiva dei singoli protagonisti. La letteratura deve
avere -questa è la sua formula più riuscita- l'utile per scopo, il vero per
soggetto e l'interessante per mezzo. L'invenzione deve essere limitata
all'integrazione del dato storico. Il vero storico -per il Manzoni- è sempre
quello che desta maggior interesse. L'arte quindi avrà un valore educativo se
sarà finalizzata alla comprensione della verità storica (soprattutto la
verità del popolo, degli strati sociali più umili, che fanno la storia).
Scopo del drammaturgo/poeta/romanziere è quello di saper trarre dal vero
reale il vero ideale, senza alterare i fatti storici, ma riservandosi uno
spazio (il coro) in cui poter parlare personalmente, rendendosi interprete
dei sentimenti morali dell'umanità. Nel teatro Manzoni propone l'abolizione delle unità
aristoteliche di tempo e luogo, salvando solo quella di azione. Le due unità
erano rigorosamente rispettate nel teatro italiano perché si credeva, in tal
modo, di poter salvaguardare il principio di verosimiglianza dell'azione
degli attori. Trasportare da un luogo all'altro gli avvenimenti o prolungare
l'azione aldilà di un giorno, si pensava che togliesse allo spettatore la
convinzione (l'illusione) di essere direttamente coinvolto per 2 o 3 ore
nell'azione degli attori. Il Manzoni invece dà per scontato che lo spettatore
sappia di assistere a una finzione (il teatro stesso di per sé è illusione),
per cui lo spettatore -secondo lui- non ha difficoltà ad accettare il
susseguirsi d'avvenimenti concatenati che accadono in tempi e luoghi diversi.
Naturalmente il drammaturgo, per poter tenere ben legati avvenimenti così
separati, deve scegliere quelli più significativi, perché solo così lo
spettatore potrà sentirsi coinvolto emotivamente nell'azione. Manzoni parla
della sua riforma drammatica nella Lettera allo Chauvet. Tuttavia, poco dopo aver scritto i Promessi sposi, il
Manzoni nega l'utilità del romanzo storico, sostenendo che la verità che la
storia ci fa conoscere è sufficiente; per cui o si fa storia o si fa
invenzione. L'occasione perduta del Manzoni La conversione al cattolicesimo ostacolò decisamente lo
sviluppo delle idee giacobine e ateo-illuministiche maturate nel periodo
giovanile. Probabilmente il Manzoni aveva capito, a Parigi, che
cultura e politica devono marciare insieme per essere entrambe vere,
autentiche, ma siccome il suo personale temperamento gli impediva di
condividere, sino in fondo, in maniera partecipata, le idee e le esigenze
della politica democratica e rivoluzionaria, egli preferì puntare la sua
attenzione sulla cultura, trasferendo su questa le qualità realistiche di
quella politica più vicina alle aspirazioni popolari. Conseguentemente la sua letteratura diventò, allo stesso
tempo, realistica e poetica, storicistica e romanzata. Connubio, questo, che
al Manzoni piaceva e dispiaceva, proprio perché egli si rendeva conto che con
esso non si potevano soddisfare appieno le esigenze del vero. Esigenze che
possono e debbono essere soddisfatte coll'impegno politico attivo, a favore
della democrazia, oltre che coll'impegno culturale e sociale. Il Manzoni
-come noto- si limitò a circoscrivere ideologicamente tale impegno alla
valorizzazione del "vero storico", volgendo sì lo sguardo al
presente, ma come intellettuale culturalmente, non politicamente impegnato. La sua esperienza, ancora una volta, ha dimostrato i
limiti della religione, che sono appunto quelli di negare valore, da un lato,
alla politica rivoluzionaria, giustificando, dall'altro, l'oppressione
esistente. Di qui il suo accentuato moralismo, la sua idea paternalistica di
"provvidenza", la sottile quanto fastidiosa ironia nei confronti
del "male" e di chi cerca di opporvisi con mezzi propri, senza
rimettersi nelle mani di dio. Al Manzoni tuttavia bisogna riconoscere un
pregio, quello di non aver mai abbracciato le idee clericali del suo tempo. |
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LE DATE DELL’AMBIENTE MANZONIANO DEI PROMESSI SPOSI In verde le date dei PROMESSI SPOSI 1628
, 14
marzo 1629 1630 1631 |
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